martedì 3 giugno 2008

Da Casal di Principe e’ iniziato l’attacco al cuore dello Stato



La strategia è fin troppo chiara e, semmai qualcuno avesse potuto alimentare ancora qualche dubbio, l’assassinio del collaboratore di giustizia Michele Orsi, avvenuto a Casal di Principe, si pone come un suggello definitivo su quanto è in atto non solo a Casale ma ben oltre la Provincia casertana. Il clan dei Casalesi ha sferrato un preciso attacco al cuore dello Stato con omicidi ed azioni di stampo terrosistico orientate all’eliminazione di ogni possibile oppositore e alla diretta o indiretta intimidazione della cittadinanza attiva. La sentenza di secondo grado del processo “Spartacus ” si avvicina e le figure storiche del clan Francesco, Sandokan, Schiavone, Francesco Bidognetti, entrambi in carcere, alle quali si aggiungono i latitanti Michele Zagaria e Antonio Iovine hanno paura delle condanne definitive e, prendendo atto come l’azione intimidatoria che in principio avevano pensato non ha sortito alcun effetto, ricordiamo proprio le minacce rivolte alla giornalista Rosaria Capacchione, al pm Raffaele Cantone e allo scrittore Roberto Saviano contenute nella lettera letta nell’aula del tribunale napoletano da un avvocato difensore proprio durante lo svolgimento del processo, hanno deciso di innalzare i toni dello scontro dando luogo ad una serie di omicidi per far comprendere come, nonostante l’azione repressiva messa in atto dalle forze dell’ordine e gli slogan ripetuti in occasione di ogni particolare manifestazione proprio dai rappresentanti dello Stato, il territorio sia ancora sotto il loro pieno controllo.

L’omicidio di Michele Orsi, che avrebbe dovuto comparire davanti ai giudici proprio giovedì prossimo per riferire su trame illecite sul traffico dei rifiuti in Campania, giudizio che vede coinvolto anche l’ex ministro della commissione di vigilanza Rai Mario Landolfi, si aggiunge a quelli di Umbero Bidognetti, padre del collaboratore di giustizia Domenico, dell’imprenditore Domenico Noviello che aveva denunciato e fatto arrestare i propri estorsori alcuni anni fa e al ferimento, avvenuto a meno di ventiquattr’ore di distanza a Villaricca, un paese del napoletano, della venticinquenne Francesca Carrino, nipote della collaboratrice Anna e compagna di vita di Francesco Bidognetti, nota oramai alle cronache nazionali per aver pubblicamente preso le distanze nei confronti del clan e che sta aiutando i giudici inquirenti a chiarire molti retroscena inquietanti.
Se a ciò aggiungiamo anche la distruzione dell’azienda di materassi con un incendo doloso dell’imprenditore Pietro Russo, presidente dell’associazione antiracket di S.Maria C.V., e della lettera di Angela Pagano, vedova di Umberto e madre del collaboratore Domenico, con la quale ha invitato proprio quest’ultimo a terminare la via del pentitismo, si comprende come il tutto sia il frutto di una strategia studiata a tavolino con la quale si vuole instaurare un clima di terrore che crei dei contraccolpi anche tra gli inquirenti che, da un po di tempo, si stanno dedicando, giustamente, soprattutto ad un’azione di contrasto nei confronti degli enormi patrimoni illecitamente accumulati da questa forza criminale e alla ricerca dei due latitanti Iovine e Zagaria il cui eventuale arresto, “potrebbe mettere in discussione addirittura il futuro dell’organizzazione”.

La Commissione Parlamentare antimafia uscente, con la sua relazione conclusiva, aveva indicato come l’apparente calma non doveva trarre in inganno e di come la strategia “chirurgica, fino ad allora adottata dal clan, “caratterizzata da un bassissimo livello di omicidi e di violenza, si sarebbe potuta evolvere con gravi fatti di sangue”.
Ma anche quest’analisi, così come tutte quelle meritevoli di considerazione, sembra aver stimolato solo alcuni addetti ai lavori e per nulla preoccupato la rappresentanza politica che continua a considerare, o preferisce farlo, la malavita casertana un fenomeno folkloristico locale che va semplicemente contenuto così come in passato è avvenuto a Napoli per il contrabbando. Nessun seguito sembra aver avuto, anche l’indicazione che si legge sempre nella medesima relazione della Commissione, sulla “strana compravendita di terreni avvenuta nella zona di Villa Literno successivamente affittati al Commissariato di Governo per il ricovero provvisorio di ecoballe da parte di soggetti che sono risultati, in molti casi, imparentati ad esponenti del clan”.

A conclusione di ciò va aggiunto che la giornata del primo giugno si sarebbe dovuta ressere una giornata di riflessione dedicata ai testimoni di giustizia che hanno deciso di lottare, in silenzio, in favore di quei principi che hanno ispirato i Padri costituenti sessant’anni fa quando, finalmente, anche questo Paese iniziò ad essere regolato da una Costituzione democratica. Una tappa di avvicinamento alla festa del due giugno che aveva visto l’arrivo a Casal di Principe di una delegazione di Libera Piemonte che insieme al coordinamento casertano rappresentato da Valerio Taglione, al comitato “Don Peppe Diana” voleva offire la propria solidarietà ai collaboratori di giustizia. “Una festa” alla quale avevano preso parte, raccontando le propria storia, anche Bruno Piazzese e Pino Mascari, e che tale non è potuta essere perché proprio qualche istante dopo l’omicidio di Orsi, nel ristorante dove si stava concludendo l’incontro si è precipitata una rappresentanza delle forze dell’ordine che ha invitato tutti i commensali ad abbandonare il luogo perché da quel momento, queste sono state le serafiche parole, “non poteva essere garantita loro nessuna sicurezza”.


Oramai è chiaro che per questo territorio, per l’intera regione Campania non servono solo analisi ma azioni concrete per estirpare definitivamente un cancro in metastasi, che ha irrimediabilmente coinvolto una rappresentanza trasversale di tutta la Società. Non possiamo più accettare e giustificare l’impotenza di uno Stato incapace di assicurare l’incolumità ai propri cittadini e che li invita, così com’è successo alle delegazioni dell’associazione Libera, ad abbandonare un luogo del Paese proprio come se ci si trovasse su uno scenario di guerra ritornando così indietro di sessant’anni.

di Pietro Nardiello

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